venerdì 3 dicembre 2010

La poligamia secondo Vincenzo


Sono stato scortese oggi in classe. Scortese con tutti gli indonesiani che c'erano. Con loro, che sono così formali e gentili.
Oggi non mi andava di rispondere alle solite domande, del tipo: "Sei sposato?", "Dove abiti?", "Qual è il tuo piatto preferito?" e così via... No. Oggi no.
Forse perché in questo ultimo periodo sto frequentando prevalentemente occidentali e meno i locali.

Le azioni di un europeo sono sempre finalizzate ad uno scopo pratico; invece quelle di un asiatico no. Forse esagero nel mio giudizio, ma è mia convinzione che per quanto poco disinteressata sia l'azione di un asiatico, lo è meno di quella di un europeo, e comunque in maniera diversa.
E in un certo senso questo mattina mi prendevo gioco della insensatezza delle domande che mi venivano poste, della loro assoluta inutilità: presto tutta questa gente andrà via ed io non li vedrò più (andranno via tra meno di una settimana). E provavo una certa goduria nel dire che avevo cinque mogli, una per ogni continente, mantenendo un'espressione seria, così da mettere in difficoltà il mio interlocutore. La mia fierezza europea, insieme al mio pragmatismo, erano lì a guardarmi e a gioire della (presunta) superiorità dell'ironia dell'uomo bianco.

E così adesso, a freddo, mi rendo conto del perché amo l'Asia e della lotta che c'è dentro di me, tra una parte che vuole la pace tra i popoli e l'altra che vuole soltanto il predominio di uno solo. Una parte di me cede con gioia ogni cosa che posseggo mentre l'altra freme per una ricompensa. E questo opprimente gioco non tocca solo me, ma riguarda soprattutto le parti oscure di una cultura, quelle che non si leggono nei manuali di antropologia. Mi rendo conto che questa, come altre del resto, è una barriera reale tra i bianchi che vivono qui e gli indonesiani.

E quando alla fine della lezione sono spuntate le macchinette fotografiche, tutti - e dico tutti, anche quelli con cui ero stato chiaramente scortese - hanno voluto fare una foto con me. E hanno detto "facciamo una foto con il bulé" (= termine indonesiano che indica i bianchi, vagamente razzista), mentre i più audaci hanno detto "facciamo una foto con londo" (= termine giavanese, appellativo per gli olandesi, i colonizzatori, più marcatamente razzista). Mi sono prestato al gioco, rassegnato come un animale in gabbia, e finalmente ho provato cosa vuol dire essere diverso.

1 commento:

Terje ha detto...

white love, that is white love!