venerdì 11 novembre 2011

io e Cipriano de Rore


Quant'è bello che la musica rinascimentale si chiuda sempre con una cadenza piccarda! =)

domenica 9 ottobre 2011

Die Welt als Wille und Vorstellung

Necessità,

che mi condanni alla pena della ripetizione continua,

che mi condanni alla sete ed alla fame – perpetuazione della vita – necessità –

che mi condanni ancora una volta ancora

a defecare ciò che mi ha nutrito

martedì 12 luglio 2011

Roma vista dalla Casilina

Questa è una cosa che ho scritto tempo fa, però mi è sembrata in qualche modo ancora attuale.







Roma vista dalla Casilina


Roma tu sei morta,

e non basta la gloria trascorsa

a tenerti in vita.

Dici di essere la città degli Angeli,

dove risiedono i vicari di Cristo,

ma tu sei Inferno,

e diavoli sono i tuoi cittadini,

accomunati ad essa

da un lugubre senso di decadimento.

Roma io ti lascio,

parto per altri lidi,

come un tempo fece l'avo di chi ti fondò,

in fuga dalla sua amata patria.

Ti ritroverò un giorno forse più bella,

ma più vuota di prima,

perché questo è il cammino che hai intrapreso: rendere la vita,

la tua vita, mero museo,

dove tutto è solo dettaglio.

Roma, monumento funebre di te stessa,

liberati dalla tua storia,

tuo vanto e castigo.

Liberati dalla vacuità dell’impero,

dalla vanità delle rovine del potere,

di cui si gloriano come fossero

luoghi sacri.

Roma, i palazzi delle periferie

scimmiottano le tue rovine.

Ma nemmeno nella decadenza

le sanno eguagliare.

lunedì 13 giugno 2011

Ku tak bisa jauh darimu


Una parte di me freme all'idea di tornare in Asia - l'altra invece vorrebbe restare qui, in Occidente.
Penso all'Asia come si pensa ad un'amante, una donna amata che non si riesce a dimenticare, una donna con cui troppe sono le cose rimaste in sospeso, ed insieme alla quale ci sono ancora tante cose da fare e da condividere. Puntualmente ogni volta vado via, ma qualcosa di mio resta sempre lì.
Nel ricordo per lo più i momenti felici vengono a galla e la mia mente gioisce nel navigare in questo mare e nonostante i momenti difficili e cupi che pure ci sono stati, il mio essere resta proiettato verso l'Asia. Ed invano cerco di convincermi che è lontana, troppo lontana per poter tornare, e che la mia vita continua a 1000 miglia di distanza: una parte di me non si è mai mossa, è rimasta lì.

Ma tuttavia l'altra parte di me è tornata ed al ritorno felicemente ha abbracciato la sua terra e la sua cultura. Oriente ed Occidente sembrano non riuscire a trovare un'unità in me ed io sembro destinato a vagare tra l'uno e l'altro mondo, tra l'una e l'altra mia parte.

Us and them


"Noi", "Voi" e "Loro" (o meglio "Essi") sono pronomi che nascondo un'ideologia. Dietro queste parole, apparentemente semplici ed innocenti, si cela l'individualismo della nostra società. Molto più di "io" e "tu" - che denotano presupposti imprescindibili: la singola persona, l'unità, e quella a cui mi rivolgo, l'altro, che mi sta di fronte - "noi" esclude inevitabilmente tutto ciò che è al di fuori: "voi". Dunque se "noi" agiamo in un modo, "voi" agite in un altro, ciò che "noi" siamo non siete "voi", e così via dicendo.
A mio parere le lingue asiatiche, come ad esempio l'indonesiano o il vietnamita, provano a superare questo stato di cose che tuttavia - ahimè - sembra parte imprescindibile della natura umana. In queste lingue c'è un "noi" che include la persona o le persone a cui si sta parlando, ed un altro "noi" che le esclude. All'inizio non capivo bene questo includere l'altro, non capivo il motivo dell'esistenza dei due "noi". Del resto questa distinzione non esiste nelle lingue europee, dunque in un certo senso è impensabile.
Sempre a mio parere, dietro ai "due noi" si può vedere l'essenza della società collettivista, il suo concepire la società come un'unità onnicomprensiva, tentativo di fare rientrare - per quanto possibile - la molteplicità in qualcosa che la comprenda.
Tuttavia si tratta di un tentativo vano, perché dal momento in cui "vi" parlo, parlo a "voi". La natura umana è divisa e a questo non si può porre rimedio.

sabato 21 maggio 2011

This will pass


"This will pass" era scritto sull'anello di Rimma. Già... Passerà anche questo, tutto passerà. E non resterà niente, niente di quello che prima era. "Nello stesso fiume, son sempre acque diverse quelle in cui ci bagnamo: non è possibile bagnarsi due volte nel medesimo fiume"... Tutto scorre, tutto fugge, tutto se ne va.

Quanto è lontano il presente dal passato, e quanto sembra lontano il futuro da entrambe? Un attimo prima è lì ed un attimo dopo è già trascorso. Ma io le cose non spariscono, non del tutto almeno... qualcosa resta.

C'è qualcosa che fa sì che comunque io vada a bagnarmi nello stesso fiume e che io lo possa chiamare “fiume”. Ed allo stesso modo c'è un'unitarietà che fa sì che io sia una persona e non una massa amorfa ed instabile in continuo divenire. Nella mente è fissa l'idea di un fiume come l'idea di una persona... È l'illusione dell'eternità delle cose, la quale vive solo nel pensiero e nei ricordi. Dunque ritorna la domanda di sempre: qual è la realtà?

* * *

Se assistere a tanti funerali in Indonesia mi ha insegnato qualcosa, è proprio questo, vale a dire la volontà dell'uomo di non accettare l'Essere come Divenire. Finanche di fronte alla morte, l'ultima stazione del viaggio, si fa di tutto per scongiurare la perdita e si cerca di spostare il triste momento dell'addio definitivo sempre più avanti, nel futuro indefinito. L'uomo non accetta la sua finitezza e fa di tutto per contrastarla, per combatterla. Ma ovviamente questa è una battaglia persa.

Tuttavia, ben conscio della sua finitezza e delle sue limitate capacità, l'uomo continua tragicamente a combattere. Non si può non combattere questa guerra: di fronte alla morte, come di fronte alla vita, siamo tutti guerrieri.

il Sacrifio del Bufalo

Il sacrificio del bufalo - il potong Kerbau - è la cerimonia conclusiva del Kwangkay, rituale la cui funzione è quella di guidare gli spiriti dei defunti verso il Paradiso.

Danza ngerangkau - Dayak Benuaq


ngerangkau by Cipriano de Rore

Il ngerangkau - termine con cui si indica sia la danza che la musica - è parte di un complesso di rituali celebrati in onore dei defunti. Questa musica ancestrale è oscura, ambigua, trascinante... la sola che siano in grado di ballare le anime dei morti, le quali prendono parte alla danza penetrando i teschi che i danzatori portano indosso.

Nella fotografia si posso vedere gli strumenti che compongono l'organico. I gningt (in numero variabile da 6 a 9), vale a dire i gong, il kentangan, sorta di bonang, ed i prahi, i lunghi tamburi appesi alla parete.

giovedì 19 maggio 2011

il fiume Mahakam - East Kalimantan

Abito tradizionale dei Dayak Benuaq

Questo popolo, molto particolare in verità, vive tra il Borneo e l'Ucraina! =)

sabato 14 maggio 2011

Soundscape notturno - Villaggio sulle rive del fiume Mahakam - Kalimantan orientale

04 - soundscape notturno - villaggio lungo il fiume Mahakam by Cipriano de Rore

Tradizione - Modernità

Senza sapere l'uomo è perduto. La vita "pratica" è possibile in qualsiasi angolo del globo, l'uomo si adatta pressoché ad ogni clima o temperatura. Ma ha bisogno di risposte alle sue domande, altrimenti non riesce ad orientarsi e finanche la più piccola e quotidiana delle azioni diviene impossibile a compiersi.
La tradizione risponde a questa necessità. Essa rivela all'uomo il significato delle cose, le ordina secondo un sistema più o meno complesso, dà all'uomo una spiegazione plausibile che gli renda accettabile il suo essere al mondo. Solo in questa maniera vivere acquisisce senso.

Quando si comincia a non conoscere o capire più il significato di una tradizione è segno che essa sta per scomparire; quando ne resta solo l'aspetto esteriore, il gesto deprivato del suo senso, è segno che il sistema tradizionale comincia ad apparire obsoleto. E' così che quell'apparato di conoscenze che chiamiamo tradizione viene soppiantato da un altro apparato che per diverse ragioni viene ritenuto superiore al precedente. E' così che io - e l'Occidente - abbiamo perso la nostra tradizione. Noi abbiamo ritenuto che la logica fosse più adeguata a guidarci nel dedalo del mondo e semplicemente, ma inesorabilmente, abbiamo dimenticato il vecchio sistema di interpretazione, la nostra tradizione. Ad essa abbiamo sostituito qualcos'altro perché è chiaro che senza un sistema di interpretazione - per quanto fittizio esso sia - non si può vivere. Ognuno di noi ha scelto la propria musica, la propria letteratura e via dicendo, attingendo dalle più diverse e remote - nello spazio e nel tempo - tradizioni, con il fine di costituire una propria tradizione individuale, vale a dire la propria e personale chiave di interpretazione del mondo. E' questa la tradizione del mondo globalizzato.

venerdì 8 aprile 2011

L'esercito che cammina

Il Gamelan Belaganjur - l'esercito che cammina. Questa musica guida l'anima del defunto attraverso il suo ultimo viaggio terreno, quello verso il cimitero.
l'esercito che cammina by Cipriano de Rore



Suonatore di Gerantang in riva al mare #2


suonatore di Gerantang #2 by Cipriano de Rore


Suonatore di Gerantang in riva al mare #1

suonatore di gerantang by Cipriano de Rore


Il gerantang è uno xilofono fatto di canne di bambù posizionate orizzontalmente su di un telaio di legno. Le canne vengono percosse utilizzando dei mazzuoli di legno sui quali vengono posizionati, ad una estremità, dei dischi di gomma.
Ho effettuato questa registrazione in una spiaggia paradisiaca, Pasir Putih, Bali. Si può vedere un'immagine del gerantang nel post "Papa Jero".

mercoledì 30 marzo 2011

La musica a Bali


In Indonesia, e a Bali in particolare, c'è musica ovunque. La vitalità musicale che ritrovo qui non l'ho mai vista in nessun'altra parte del mondo che ho avuto occasione di vedere. La musica - quella suonata, "dal vivo" - è richiesta per ogni celebrazione. Il gamelan non morirà mai fintanto che ve ne sarà richiesta per la miriade di rituali che ogni giorno si celebrano a Bali. Questo sì che è mantenere in vita una tradizione!

Ma vi è dell'altro. Nell'ambito di queste celebrazioni, in cui la musica svolge un ruolo di primo piano, io non trovo mai una netta separazione tra musicisti e pubblico, che mi appare invece essere la regola in Occidente. La musica è un fatto collettivo, è la gioia di condividere l'immateriale sonoro; tutti sanno suonare e l'anima di tutti risuona nelle melodie del gamelan.
Io credo che in Europa, e in generale in Occidente, il capitalismo abbia privato la musica della sua aura, relegandola nel "professionismo". In Europa si paga un biglietto per assistere ad un concerto. In Indonesia il concerto lo si vive! La musica è un fatto sociale, poi "artistico". Sono estremamente convinto che se l'Arte si separa dalla vita, perde la natura sua propria e diviene feticcio.
Relegare l'Arte nelle Accademie e nei Conservatori è una questione ideologica, una precisa strategia del potere per allontanarci dalla vita. L'uomo si eleva al livello divino solo quando fa proprio l'attributo divino, vale a dire la creazione. Solo in questo modo nobilita se stesso. All'opposto, invece, c'è la ripetizione del riproducibile, vale a dire l'alienazione. E questo è quello che vogliono le Democrazie occidentali, ovvero i Nuovi totalitarismi: ridurre l'uomo ad un automa, ad un oggetto morto. L'Arte, al contrario, è Vita nella sua forma più elevata ed in quanto tale appartiene a tutti. Tutti devono sapersi esprimersi artisticamente, non importa quanto "artistico" sia il prodotto finale: è il processo ad essere veramente importante. In questo risiede il principio di una società migliore, il principio della Vita Vera.


Concerto a UNY con Mo'ong and Friends - Yogyakarta







Insieme a Mo'ong (chitarra), Nanok (basso) e Dimas (percussioni). :-)

venerdì 25 marzo 2011

Mama Jero

























Quando ho detto a Mama Jero che stavo per partire, lei ha pianto. È successo anche la scorsa volta, ma questa volta è stato più intenso. Ha pianto tanto, a lungo. Non so se voi che leggete potete capire, ma mi sono sentito come un ladro. Un ladro che però è spinto dalla necessità di dover fare quel che sta facendo... Che tuttavia non è una giustificazione.

Mi sono sentito un ladro perché ho preso tanto e non so quanto ho dato, ma questo non importa perché se avessi dato tantissimo, pure avrei preso di più. Ho preso le lacrime di Mama Jero.

E mi viene da pensare: perché l'amore fa sempre male? Credo che lei abbia pensato: "Non andare via, ti do tutto il mio amore, di cos'altro hai bisogno?" Ma non è stato così, di qualcos'altro avevo bisogno. Di qualcos'altro si ha sempre bisogno. E si fa soffrire.

Dopo che Mama Jero ha pianto, è andata via, è tornata a casa, senza salutarmi, come se avesse voluto cancellarmi dalla sua vita. Mi ha lasciato dentro una tristezza infinita. Tuttavia non potevo fermarmi, dovevo andare. Ho salutato Papa Jero e lì non sono riuscito a trattenere le lacrime. Allora lui mi ha abbracciato e mi ha detto di non essere triste perché non possiamo stare insieme per sempre a tutte le persone a cui vogliamo bene.

Dunque sono partito, con la promessa che sarei tornato a trovarli.


Riflessioni sul volto di un cadavere - Trunyan



L'immagine della morte impressa sul volto del cadavere nel cimitero di Trunyan scolpita nella mia mente... Mi ricorda l'"Urlo" di Munch... Un richiamo disperato, rivolto ai vivi presumibilmente. È incredibile come la morte possa far pensare al suo contrario, alla vita... La vita, in generale, non fa pensare alla morte, al contrario!

Ho pensato che quel destino toccherà anche a me, che quella stessa espressione comparirà sul mio volto, probabilmente nascosto da pudica terra. Non so quale vantaggio abbia l'ostentazione della morte, ma di certo colpisce, se non spaventa, e fa riflettere.

E mi viene da pensare al reale, alla realtà, ed al sogno. Cos'è la vita, e dunque il reale, rispetto alla sua fine, alla sua negazione? È tutto probabilmente, mentre quello è niente. Ma che senso ha l'accumulazione di capitale - umano e bancario - di fronte all'urlo della morte?

Forse quello che mi ha ispirato quell'immagine è l'inutilità del tutto... Certamente delle sciocchezze, non delle cose importanti... Ma non sarò io a determinare cosa sia sciocchezza e cosa sia importante!

Credo che si ricordino delle cose piuttosto che delle altre perché si attribuisce loro un grado di realtà, che dunque si vuole conservare. Ciò che si dimentica è come se non fosse mai esistito, perché poco importante. Seguendo questo ragionamento, la realtà è piuttosto una cosa a-posteriori, che non si coglie mentre accade, o meglio la si coglie ma solo con i sensi che poi vengono, come dire, selezionati ed immagazzinati per essere ricordati e divenire storia personale.

Dunque questa è la realtà. E anche se ci succede qualcosa che mai avremmo voluto che accadesse, allora gli attribuiamo un senso nostro, non importa quanto veritiero.

Le preoccupazioni dell'amante esistono solo nella sua testa. Può capitare che l'amato non se ne accorga nemmeno, e mi perdoni Dante Alighieri se contraddico la sua celebre terzina!

Dunque, qual è la realtà? Quella dell'amante o quella dell'amato?

Il volto trasfigurato dalla morte su quel cadavere mi ha ricordato quanto effimera sia la vita. Ci aggiriamo per le vie del mondo come un funambolo che cammina su di una corda sospesa nel vuoto. Tutti gli incontri, le esperienze che si fanno lungo il tragitto, sono effimeri quanto lo è la corda su cui muoviamo i passi, quanto lo è lo stesso funambolo che cammina. La vita è come una candela al vento... Un giorno quella espressione apparirà sul mio volto.

mercoledì 16 marzo 2011

La morte a Bali



Assistere ad una cremazione è stata un'esperienza decisamente forte. Vedere i corpi morti, verdi, di un verde-grigio innaturale, è stato triste oltre che orribile. La maggior parte delle persone lì convenute sembrava indifferente, anche se c'era pure gente che piangeva. Chissà che effetto gli ha fatto vedere il corpo del loro caro in quello stato e subito dopo arrostito, come il BABI GULING, la porchetta balinese!
Davvero un'esperienza forte... In Europa raramente si vedono cadaveri e scene così cruente. Di certo gli europei hanno paura della morte, mentre i balinesi no...

Subito dopo ho pensato al combattimento dei galli, altra cosa tipicamente balinese. I galli balinesi fondamentalmente combattono per la vita: gli viene legata una lama tagliente ad una zampa, ed l'incontro si conclude con la morte (e con materiale utile per cucinare un ottimo AYAM GORENG!). Anche il combattimento di galli a Bali è uno spettacolo cruento, con spargimento di sangue in abbondanza. Sembra come se i balinesi avessero bisogno di questo tipo di forti emozioni, come se i loro Dei gliele richiedessero. Ed è una cosa che contrasta fortissimamente con il loro essere placidi, calmi, amichevoli e finanche sfaticati!

Tuttavia vi
è da dire che i balinesi sono dei grandi donnaioli, ma questa sembra essere una caratteristica nazionale! Forse l'amore, in quanto emozione forte, rientra nel novero delle sensazioni che un balinese esige dalla vita: la calma piatta e poi, all'improvviso, la fiamma della passione che tutto brucia in poco tempo con una forza devastante, il corpo del defunto nel rituale di cremazione, la frenesia della musica del gamelan, l'effimerità dell'amore.

Papa Jero



Attorno a me la famiglia di Papa Jero è felice. Tutti stanno suonando e sono tutti allegri. Non fanno niente di particolare per tutto il giorno, le giornate passano e si ripetono tutte uguali, ma loro non si lamentano. Sono felicissimi quando c'è una novità, come ad esempio un nuovo ospite, ma poi le loro giornate riprendono uguali ed identiche a prima. Parafrasando Jacques Dournes, si può dire che la loro vita è come quella di un suonatore di gong che aspetta pazientemente il suo turno per suonare la sua unica nota, che però è la più importante di tutte, perchè segna l'inizio e la fine. Un po' come la morte, secondo le credenze locali.

Quando ho incontrato di nuovo Papa Jero, lui mi ha abbracciato e poi ha pianto. Ho pensato che forse non meritavo tutto questo, non meritavo il suo amore. Proprio non so cosa dargli in cambio, non so se la mia compagnia sia abbastanza, di sicuro i miei soldi non lo sono. Eppure sento che mi vuole bene veramente, come un figlio.

Papa Jero è un tipo originale. Mi ha raccontato che quando era ragazzo andava a raccogliere la legna per poi venderla per pagarsi la retta della scuola. Proveniente da una famiglia contadina non poteva continuare gli studi, cos
ì ha lavorato come caddy in un campo di golf per quindici anni. In questo periodo ha imparato l'inglese ed ha cominciato a giocare a golf. Gli ho detto che in Europa solo i ricchi giocano a golf, ma per lui è uno sport come gli altri... E poi gli piace. Ogni tanto va a giocare e l'altra volta ha portato anche me. Poi, non so come, ha scoperto couch surfing ed ha cominciato a conoscere viaggiatori occidentali, alcuni dei quali lo hanno aiutato, non senza trarne vantaggio.

Papa Jero è un guaritore, aiuta la gente a superare gli ostacoli della vita, fisici e spirituali. Parliamo spesso dei suoi sogni perché
lui crede che abbiano delle corrispondenze con la realtà. Del resto anche io lo credo, e a volte restiamo a parlare anche dei sogni miei, perchè lui crede che io sia in qualche modo dotato di un certo potere, anche se io ne dubito.

L'intelligenza di quest'uomo, oltre alla bellezza della sua vita, traspare dal suo non prendersi sul serio, dal rispettare gli Dei e nel portare avanti una vita giusta. Una volta ha detto che gli Dei ti premiano se tu ti comporti in maniera retta. Tutta questa è la sua filosofia, semplice e bella, come il paesaggio balinese.


Un giorno mi ha visto triste e mi ha detto che quando lui era in quella condizione andava sempre a scommettere ad un combattimento di galli. Quel giorno ne abbiamo cercato uno intorno, ma in giro non ce n'era nessuno.

lunedì 21 febbraio 2011

Lezione di Antropologia


Qui all'Università, ad una lezione di antropologia, un professore ha detto:"Ognuno concepisce la propria cultura come uno standard, rispetto al quale relaziona le altre culture".
Per quanto sia semplice e scontato, questo pensiero è risultato per me illuminante! Com'è vero che ognuno considera la propria cultura come uno standard al quale commisurare le altre!

Ne è diretta conseguenza che, in quanto standard, della propria cultura si accettano, magari indirettamente, tutti i pregi ed i difetti. Sia questi che quelli diventano la normalità, la norma alla quale commisurare tutto il resto. I pregi, sono l'apice inarrivabile al quale è giunta la nostra amata cultura, ed i difetti... beh, pure quelli! :-)
Quanto è difficile, invece, capire le altre culture, le cui contraddizioni sembrano tanto evidenti ed i cui errori tanto palesi! Quanto mi sembrano strani questi indonesiani, con i loro modi di fare e le loro tradizioni bizzarre! Però gli italiani li capisco... si, loro si!

Devo dire che io, in fondo, capisco Berlusconi. Probabilmente non comprendo il fenomeno Berlusconi razionalmente, del resto come accade a tutti gli italiani. Ma tuttavia, non so come dire, è come se emotivamente lo comprendessi, come se, in fondo, finanche dentro di me, ci sia qualcosa che lo giustifichi, che giustifichi il suo modo di fare, che me lo faccia sembrare in qualche modo, atrocemente, normale!

Ed è proprio questo il problema, il fatto che gli italiani avvertano tutto questo come normale! L'Italia, il paese dell'Impero romano, del Rinascimento, dell'Opera... e di Berlusconi! Del resto è così, cosa possono farci gli italiani? Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, a Silvio quel che è di Silvio!
Com'è possibile che gli italiani aspirino ad elevare il loro standard a qualcosa che si avvicini, pur lontanamente, alla decenza?

Ah, come capisco gli italiani!